Tempo e denaro sono le ingombranti incognite che restano da definire nel percorso di riforma della politica agricola comune. La fisionomia che la più longeva e integrata delle politiche Ue assumerà dopo il 2020 dipende in gran parte dal dibattito in corso tra i governi Ue sul budget dell’Unione 2021-27, in cui per la prima volta si parla apertamente di tagli alla spesa Pac. La sua messa in opera dipende dai tempi di un accordo sui suoi contenuti da parte delle istituzioni Ue. Ma soprattutto da quanto tempo servirà agli Stati membri per assimilare modifiche che prevedono il trasferimento di importanti competenze e responsabilità alle autorità nazionali. Nel frattempo, gli agricoltori non rischiano nulla.
La continuità di politiche e aiuti è assicurata da regolamenti transitori che hanno l’obiettivo di traghettare l’attuale quadro normativo al 2022. Almeno. Perché sia in Europarlamento sia tra gli Stati membri c’è chi chiede un altro anno, con le nuove regole che potrebbero essere applicate non prima del 2023. Nonostante l’urgenza che la Commissione von der Leyen indica nell’azione climatica, una Pac che ambisce a essere più efficiente misurando i suoi risultati, più verde incentivando gli agricoltori, e a restare “in comune” con più flessibilità, corre il rischio di arrivare lunga nei tempi e corta nelle risorse.