Ernesto Maria Ruffini lascia la guida dell'Agenzia delle Entrate. Lo fa in polemica con il governo, ma assicura con un laconico 'no' che il suo impegno da civil servant non si trasformerà in impegno politico in senso stretto.
Il suo nome circola da giorni accanto alla definizione di possibile "federatore" dell'area centrista dell'opposizione e con la sua teorica investitura si sono moltiplicati anche i commenti e le accuse. Solo giovedì, dal fronte centrista in movimento, hanno parlato di lui con diverse intonazioni Giuseppe Sala, Rosy Bindi, Romano Prodi, Bruno Tabacci e Matteo Renzi, da cui è giunto il consiglio premonitore - arrivato peraltro anche da altri e non sempre con i toni dell'invito - di dimettersi dall'Agenzia. Ruffini sembra averlo colto al volo, stanco a quanto pare delle letture politiche date alle sue parole e degli attacchi che non solo hanno coinvolto la sua persona e l'Agenzia delle Entrate, ma hanno anche tirato in ballo il Quirinale.
E così l'avvocato tributarista che ha trasformato il fisco italiano in un fisco 2.0 ha affidato la sua mossa alle pagine del Corriere delle Sera. "Lascio", ha annunciato. Ma a far rumore, oltre alla decisione in sé, sono le motivazioni alla base dell'addio. Il direttore dell'Agenzia a cui è affidata la lotta all'evasione, senza prendere le parti di nessuno, non ha retto al "cambiamento di clima" dell'ultimo periodo, a vedere i propri funzionari additati come "estorsori di un pizzo di Stato" o come "sequestratori che tengono in ostaggio le famiglie".
Ruffini non cita i nomi e i cognomi degli esponenti di governo che le hanno pronunciate, ma le frasi sono facilmente riconducibili ai due distinti discorsi di quasi un anno e mezzo fa della premier Giorgia Meloni e del vicepremier Matteo Salvini. L'opposizione della Lega, manifestata nella contestazione delle lettere inviate dal fisco alle partite Iva la scorsa settimana, è riemersa con forza proprio con parole simili a quelle criticate da Ruffini: "un conto è contrastare chi non vuole pagare le tasse e un altro è vessare, intimidire e minacciare i contribuenti. A Ruffini auguriamo le migliori fortune, - hanno fatto sapere dal partito - ma ben lontano dai portafogli degli italiani".
Eppure i rapporti con il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che della Lega fa parte, e con i suoi uffici sono rimasti finora pienamente collaborativi. Lo stesso dicasi per l'altra anima del ministero facente capo a Fratelli d'Italia e incarnata dal viceministro delle Finanze, Maurizio Leo, autore della riforma fiscale.
Ruffini ha comunicato la sua decisione ad entrambi ed entrambi, viene riferito, l'hanno accolta senza contrasti ma con massima correttezza. A parlare per il Mef è però solo il sottosegretario Federico Freni, anche lui in quota Lega, che definisce il direttore "una persona per bene e un eccellente servitore dello Stato". "Rispetto le sue scelte e come componente del governo ne prendo atto", afferma Freni in via istituzionale.
Dal governo arrivano pochi altri commenti, quello della ministra Daniela Santanchè e quello di Luca Ciriani che punta a farlo uscire allo scoperto: "Se ha scelto di fare politica e fa dichiarazioni politiche è giusto che lasci", sottolinea il ministro dei rapporti con il Parlamento. Dalla maggioranza Maurizio Gasparri di Forza Italia e di Marco Osnato di Fratelli d'Italia rivendicano per il governo e non per l'Agenzia delle Entrate i successi nella lotta all'evasione citati dallo stesso Ruffini.
Tra le file del Pd invece prevale la cautela. "Credo che Ruffini abbia lavorato bene. Ha fatto una scelta personale che rispettiamo", afferma il presidente del senatori dem Francesco Boccia. Il responsabile economico Antonio Misiani parla di "un servitore dello Stato di grande levatura" le cui parole "dovrebbero far riflettere tutti, a partire dagli sciagurati politicanti che usano la propaganda rozza e incompetente per lisciare il pelo agli evasori".
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