I borghi come alternativa alle
periferie urbane per ripensare i cicli di vita post-Covid. È
quello a cui pensa l'architetto Stefano Boeri, alla luce del suo
lavoro nei paesi del terremoto del 2016. Da qui l'invito a una
ricostruzione che non crei "gusci vuoti" ma un nuovo modo di
abitare.
"Adesso ci troviamo con delle città a bassa intensità,
sostanzialmente attraversate da conflitti insanabili e da enormi
barriere di ingiustizia sociale e con una vita privatizzata,
egoista e individualista", dice Boeri parlando delle "anti-città
che hanno trasformato e trasfigurato l'Italia" al webinar
"Ascoltare l'architettura" organizzato dalla Casa
dell'Architettura di Roma e l'Ordine degli Architetti di Roma.
La "costellazione di borghi" nelle aree interne può
rappresentare, adesso, una "grande opportunità", per Boeri,
perché abbiamo la banda larga e, con l'emergenza sanitaria,
l'abitudine al telelavoro "che è oggi è potenzialmente
fortissima e l'attitudine anche al ripensamento dei cicli di
vita".
"In una situazione in cui uno ha 4 o 5 giorni, di cui 2 o 3
lavorativi, da passare in un luogo che non è necessariamente una
periferia urbana, cambiano radicalmente le prospettive di
radicamento e sviluppo democratico di questo paese", dice Boeri.
L'architetto ricorda che nella torre di Allianz impiegati e
dirigenti condividevano una scrivania ogni due persone, già
prima del Covid, che il grattacielo di Generali ha il 25-30%
degli addetti presenti e vede, nelle grandi multinazionali un
orientamento molto forte a ridurre e diluire, in maniera
sostanziale, le presenza. Questo significa modificare il ciclo
di vita, cambiare il rapporto tra "residenzialità e spazio di
lavoro".
L'opportunità rappresentata dai borghi " ha una serie di
"possibili ricadute pericolose", riconosce Boeri che segnala gli
errori di alcune scelte nella ricostruzione dei paesi distrutti
dal sisma. "Si sono costruite decine e decine di scuole perché
ogni comune ha avuto la sua invece di creare tre o quattro poli,
e probabilmente non ci saranno neanche il numero di studenti
necessari", dice Boeri sottolineando l'importanza di progettare,
con la popolazione, il ripopolamento di territori che avevano
iniziato ad essere abbandonati molto prima del 2016.
Boeri immagina, in particolare, "un patto, un'alleanza, un
contratto di reciprocità sul modello francese tra città e
sistema di borghi" per cui chi progetta di spostare la vita, e
investire sul futuro anche dei propri figli, in un luogo diverso
dalla città, ha la garanzia di essere all'interno di un circuito
di economia circolare sull'agricoltura, la forestazione, il
lavoro artigianale e il lavoro intellettuale legato alla grande
città.
La ricostruzione deve guardare quindi a una "dimensione
autentica e non identica" che vuol dire anche, per Boeri,
ripensare agli spazi interni, rispetto a una domanda oggi che ha
le caratteristiche di una domanda urbana.
Il disegno, su larga scala. diventa quello di "un grande
sistema ecologico" incentrato sui corridoi ecologici, con aree
protette, parchi naturali, boschi curati, nel quale si possono
inglobare città più verdi. "È un'idea non solo morfologica o
ecologica - dice Boeri - ma anche di un modello economico
diverso che io è quello che spero si possa iniziare a guardare".
L'architetto dedica anche due riflessioni alle città di Roma
e Milano. Roma è descritta come "un mondo a sé, una realtà che
ha in sé tutte le potenzialità che potrebbero davvero segnare il
salto evolutivo della nostra specie, ma anche le tare, le
resistenze e i ritardi", una sfida "gigantesca" per cui sarebbe
molto bello avere un progetto nazionale.
Di Milano, invece, dove vive, Boeri racconta la tragedia di
essere stata "vittima consapevole di un disastro di
concettualizzazione e impostazione del sistema sanitario" di
fronte all'emergenza Covid. Puntando tutto sugli ospedali, in
Lombardia, "la malattia non ha trovato argini. Non c'erano più
gli ambulatori di quartiere, non ci sono più i medici. Questa
trasformazione dei grossi colossi sanitari in epicentri del
contagio è stata assolutamente incredibile da vivere", racconta
sottolineando l'importanza del decentramento sanitario.
"Bisogna pensare città che riscoprano la dimensione del borgo
- è la visione dell'architetto - non nel senso nostalgico o
romantico, ma nel senso di un ritorno a una dimensione di
autosufficienza dei quartieri" con i servizi fondamentali, come
quelli sanitari, a una distanza di massimo 15 minuti a piedi.
grandi aree pedonali e la riscoperta dei tetti come cortili
contemporanei, spazi verdi e di socialità.
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