La progettazione dei percorsi di cura
per le patologie croniche, favorita dall'avvento delle nuove
tecnologie digitali, richiede una revisione anche in ottica di
inclusione. Se ne è parlato a Roma in occasione dell'evento
promosso da Fondazione Roche "Cronicità e digitalizzazione.
Strategie per l'inclusione e la sostenibilità" presso il Centro
Studi Americani.
"La cronicizzazione ha allungato la vita e la
digitalizzazione rappresenta un grande supporto nella gestione
di molte patologie, ma richiede un'adeguata formazione - spiega
Mariapia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche. - Il
digitale, pur semplificando, non deve allontanare l'operatore
dal paziente: la cura passa attraverso professionisti preparati,
capaci di combinare tecnologia avanzata (high-tech) e contatto
umano (high-touch)." Sulla stessa linea, anche Laura Patrucco,
Presidente ASSD - Associazione Scientifica per la Sanità
Digitale e paziente esperto EUPATI. "Quando si parla di digitale
è importante declinarlo al tema della sanità sociale, cioè il
digitale deve essere pensato come uno strumento per la persona.
Per questo sono necessari dei percorsi di alfabetizzazione.
L'idea è quella di avviare un percorso di messa a terra di un
digitale pensato per la persona. Stiamo lavorando su dei
position paper per inserire il digitale ad esempio anche nei
PDTA soprattutto nell'ambito oncologico perché da una survey che
abbiamo fatto oltre il 70% dei pazienti oncologici non conosce
il concetto del digitale - continua-. Nei nostri progetti c'è
anche la creazione di pool di caregiver digitali messi a
disposizione di quei pazienti un pochino più fragili. Caregiver
formati magari dalle aziende ospedaliere, che a loro volta
possono anche formare altre persone". Per Federico Spadonaro,
Presidente di C.R.E.A. Sanità, "dobbiamo concentrarci su
cosiddetti fattori abilitanti che sono veramente i fattori
strategici per cui la digitalizzazione può essere un aiuto ai
problemi che dall'invecchiamento vanno alla non autosufficienza
e che dovremmo affrontare nei prossimi anni. Il grande vantaggio
della digitalizzazione non sarà tanto l'assistenza al
telemonitoraggio ma per esempio la possibilità di fare dei
teleconsulti col paziente che si possa sentire davvero preso in
carico anche se non ha lo specialista lì. Se cominceremo ad
avere un paziente che magari è anche telemonitorato e alla prima
difficoltà è rimandato a un ospedale da uno specialista
ovviamente il meccanismo non funzionerà mai". Spadonaro
sottolinea infine che "non basta la tecnologia, non basta la
rete infrastrutturale, bisogna cambiare completamente le
capacità dei nostri operatori perché devono imparare a lavorare
in un modo totalmente diverso. Il problema vero è che la
tecnologia si deve adattare alle persone e non viceversa",
conclude.
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