Il grande focolaio di dengue
registratosi sul finire dell'estate a Fano potrebbe avere
inaugurato una nuova fase nella dinamica di questa malattia
infettiva in Italia: la trasmissibilità del virus è risultata
infatti simile a quella che si osserva nelle aree tropicali, più
alta di quella osservata tradizionalmente nel nostro Paese.
Ciononostante, le misure messe in campo hanno consentito di
spegnere completamente l'epidemia in circa due settimane.
Sono alcuni dei dati che emergono da uno studio che ha
coinvolto diversi enti coinvolti nella risposta all'emergenza,
tra cui l'Istituto Superiore di Sanità, e pubblicato su
Eurosurveillance.
La ricerca ha analizzato i dati sui primi 199 casi - nessuno
dei quali grave o letale - del focolaio verificatosi nella città
marchigiana. Il primo caso si è verificato a metà agosto, con il
picco di contagi a metà settembre, mentre l'ultimo caso
notificato risale al 31 ottobre, ricostruisce lo studio, che ha
analizzato anche l'andamento dei contagi e la velocità di
diffusione dell'infezione.
L'indice di trasmissibilità R0, è stato stimato inizialmente
a 2,7, è cresciuto fino a 3,5 per poi scendere sotto 1 la soglia
epidemica intorno al 25 settembre. La risposta sanitaria è stata
dunque in grado di spegnere il focolaio nell'arco di due
settimane, il tempo di un solo ciclo di trasmissione
uomo-zanzara-uomo.
Il focolaio di Fano, tuttavia, "segna un notevole cambiamento
nell'epidemiologia della dengue in Europa", scrivono i
ricercatori. "Le nostre stime suggeriscono una trasmissibilità
più elevata rispetto a quanto precedentemente osservato per il
virus dengue in Italia, con livelli comparabili con la
trasmissione nelle aree tropicali e con precedenti focolai di
Chikungunya in Italia".
Inoltre, nonostante l'efficacia degli interventi, la risposta
a questo tipo di minaccia può essere migliorata, sottolineano
gli autori. "Questo focolaio consolida l'evidenza che le
condizioni stagionali possono favorire una trasmissione
efficiente e sostenuta della dengue in Italia", affermano i
ricercatori, che invitano gli operatori sanitari a considerare
il virus tra le possibili cause "delle febbri estive anche in
pazienti che non hanno una recente storia di viaggi all'estero".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA