PARMA - La Reggia di Colorno propone in mostra dal 22 aprile all'11 giugno 'Serse. Bianchi e neri': un raffinato racconto in bianco e nero dei "paesaggi dell'anima" dell'artista triestino, un percorso dalla natura incontaminata all'architettura che li abita e ne interpreta il senso. Serse è nato a San Polo di Piave nel 1952, vive e lavora a Trieste. Il fulcro della sua pratica artistica è il disegno a grafite su carta. Dalla grafite di Serse nasce una delle più intense rivisitazioni del tema-paesaggio nell'arte contemporanea: mari, superfici acquatiche, riflessi vegetali sull'acqua, cieli nuvolosi, alte montagne, boschi innevati e spazi naturali privi di figure umane e trasformati da luce e ombra. Per Serse, la tecnica della grafite "consente sia di compiere il gesto tautologico del disegno, sia di realizzare un'opera che non mente sulla sua natura di puro disegno".
"I disegni di Serse - spiega il curatore Didi Bozzini - non sono gli esercizi di un virtuoso iperrealista, ma le pagine di un racconto. Da leggere, da 'ascoltare con gli occhi', come se fossero i fogli del diario di un calligrafo. Oppure, le annotazioni minuziose di una fenomenologia dello sguardo. O ancora, i versi di un poema romanticamente ispirato alla sublimità della natura. Una scrittura di pietra, di luce e d'acqua, che parla della mente, dell'occhio e della mano. Un racconto con una sola voce narrante, diversi scenari e più strati di significato. Lo strumento di lavoro privilegiato, pressoché unico, è la matita di grafite. Prolungamento minerale della mano, che deposita sul foglio bianco le tracce della propria fatica. I sedimenti di un tempo lungo, meditativo, in cui il fare assume la forma di una liturgia laica. Ripetuta all'infinito, fino all'incantesimo. Fino all'apparizione di un'immagine della realtà, che sembra una fotografia, ma è un disegno. Il disegno di una fotografia".
Dice Serse: "Sono attratto dalla sublimità della natura, dalla smisuratezza che la distingue e che ci attraversa lasciando in noi indelebili i segni della sua grandezza. I paesaggi che disegno non rinviano ad alcunché di esterno, ma a quella 'immensità interiore' così cara alla poetica romantica. Sono dunque paesaggi dell'anima".
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