(di Francesco Nuccio)
Una lite legale durata 65 anni,
dal 1885 al 1950, una risoluzione giunta quando delle ricchezze
della famiglia non esisteva più nulla e lo scrittore Giuseppe
Tomasi si ritrovò povero, senza neanche i soldi per comprare un
soprabito e partire con il cugino, il poeta Lucio Piccolo, alla
volta di San Pellegrino Terme. Fu così che il principe di
Lampedusa, futuro autore del "Gattopardo" sbarcò in agosto in
Lombardia con un cappottone pesante.
Il Gattopardo, racconto epico, ambientato in Sicilia durante i
moti del 1860, è uno dei più grandi romanzi italiani di tutti i
tempi e dopo il film di Luchino Visconti, palma d'oro a Cannes
60 anni fa, diventa ora una serie tv per Netflix le cui riprese
sono cominciate oggi.
Kim Rossi Stuart è Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina (nei
panni che furono di Burt Lancaster), Benedetta Porcaroli è
Concetta, Deva Cassel è Angelica (la Cardinale nel film cult) e
Saul Nanni (Tancredi (Alain Delon all'epoca). La serie, in sei
episodi, prodotta da Indiana Production e Moonage Pictures con
la regia di Tom Shankland e da Giuseppe Capotondi e Laura
Luchetti, è sul set da oggi per riprese che dureranno oltre
quattro mesi tra Palermo, Siracusa, Catania e Roma.
Un genio inconsapevole Tomasi, per anni soffocato dalla
madre, donna Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò che lo
chiamava con nomi femminili e minò parecchio la sua sicurezza. E
quando si ritrovò povero in canna dopo le liti giudiziarie
sull'eredità del bisnonno, Giulio Tomasi - che altri non era se
non don Fabrizio del Gattopardo -, il futuro scrittore dovette
accettare per campare un incarico di presidente della Croce
Rossa.
I documenti legali con l'elenco dei (pochissimi e miseri)
possedimenti che giunsero a Tomasi sono il cuore dell'incontro
di sabato 29 aprile alle 11 sotto il Famedio di Casa Professa,
per il Genio di Palermo, organizzato dalla Fondazione Le Vie dei
Tesori con l'Università. Lo storico e appassionato raccoglitore
di storie Salvatore Savoia illustrerà questi documenti del tutto
inediti, insieme ad altre lettere, fascicoli, biglietti, persino
la ricevuta per l'imbalsamazione di un enorme Terranova che è
probabilmente lo spunto da cui nacque Bendicò, il cane che
affiora dal Gattopardo. Savoia tratteggia così la figura di un
"genio" inconsapevole del suo valore, un uomo silenzioso,
ritirato, che ben poco possedeva dell'allure nobiliare e della
ricchezza dei suoi avi. Ed eccoci alla famosa eredità: tra i
possedimenti finalmente sbloccati dall'asse - oltre a palazzi,
somme, persino le terre dove oggi sorge la discarica palermitana
di Bellolampo, tutto nel frattempo venduto o cancellato - ai
Tomasi giunse anche il castello di Montechiaro,
nell'Agrigentino. Un rudere ma la moglie di Tomasi, Licy,
l'energica baronessa lettone Alexandra von Wolff-Stomersee, si
convinse che la coppia doveva trasferirsi lì anche per "fuggire"
dalla misera pensione in piazza Politeama, sotto gli occhi di
tutti i nobili cittadini, unico rifugio perché palazzo Lampedusa
stava crollando dopo la distruzione delle bombe del '43.
Giuseppe Tomasi, per dissuadere la moglie dal progetto, inventò
una finta corrispondenza con i carabinieri di Palma di
Montechiaro che "sconsigliavano" il trasferimento, giudicato
poco sicuro in tempi di rapimenti frequenti. Chi dovesse mai
sequestrare due nobili in bolletta, non è dato sapere, ma la
baronessa Licy per fortuna desistette dal progetto e la coppia
rimase a Palermo.
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