E' morto il regista Umberto Lenzi (SCHEDA ANSA CINEMA), protagonista della stagione dei cosiddetti poliziotteschi italiani.
Aveva 86 anni. Dalla casa di riposo Villa Verde era stato ricoverato all'ospedale Grassi di Ostia dove è deceduto. Lo conferma la struttura sanitaria dove era ospite da tempo.
Nato a Massa Marittima il 6 agosto 1931, fra le sue opere più note Milano odia: la polizia non può sparare, Roma a mano armata e Napoli violenta.
Scopre il suo vero talento di regista del giallo nel 1966 quando, ispirandosi a un fumetto di grande successo, dirige con occhio attento alla pop art il fortunatissimo "Kriminal" che resta oggetto di culto. Tre anni dopo, vara il genere "thriller dei quartieri alti" (la definizione è sua) con un gruppo di lavori che sfruttano un'icona di Hollywood come Carrol Baker, il meglio del talento teatrale italiano (per lui lavorano signore della scena come Tina Lattanzi, Rossella Falk, Anna Proclemer) e ottenendo i riconoscimento del pubblico internazionale da "Così dolcecosì perversa" a "Orgasmo" e "Paranoia" fino al successivo "Spasmo" (forse il suo capolavoro). Il suo nuovo territorio confina con l'astro nascente di Dario Argento, il mestiere di Lucio Fulci, la lezione di Mario Bava.
Talento irrequieto - ha sempre detto di sentirsi anarchico nell'anima e nelle scelte, frequenta il genere cannibalistico in coppia con Ruggero Deodato, l'avventura bellica, il poliziottesco che ne farà uno degli idoli di Quentin Tarantino e il pigmalione di due star del genere: Maurizio Merli di cui farà la fortuna e Tomas Milian, una sua scoperta con cui lavorerà sette volte fino a un traumatico scontro. Sono gli anni '70 di "Milano odia: la polizia non può sparare" (1974), "Roma a mano armata" e "Napoli violenta" (1976) fino a "Il trucido e lo sbirro" in cui, insieme all'attore, inventa il personaggio di Monnezza, sempre nel 1976. Nel decennio successivo la sua fortuna declina ma Lenzi continua a lavorare incessantemente, spinto dal desiderio di avventura e dal piacere del cinema d'intrattenimento, firmando anche due tv-movie per Canale 5 sulle "case indemoniate".
Ha diretto alcuni dei più grandi attori della sua generazione da Henry Fonda a Carrol Baker, da John Huston a George Peppard, ha vissuto da gran signore (onnipresente il foulard al collo) e da mestierante ha saputo incarnare un cinema italiano in cui l'arte dell'arrangiarsi permetteva di affrontare ogni sfida uscendone ogni volta da vincitore. Con lui esce di scena un grande, molto amato e capace di restare moderno nella sua semplicità di narratore e prestigiatore dell'invenzione ottica.
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