di Marzia Apice VITTORIO SCHIRALDI, LASCIA FARE AL DESTINO (Marlin Editore, pp.256, 15 Euro).
Non è mai troppo semplice né scontato riuscire a raccontare senza eccessive semplificazioni il cammino dolente di famiglie che affrontano il calvario della droga, famiglie di cristallo, fragili e tuttavia resistenti, capaci di cambiare mille volte strada pur di uscire dall'incubo.
Ci ha provato Vittorio Schiraldi nel romanzo
"Lascia fare al destino ", edito da Marlin, in cui con uno
sguardo lucido e mai disperato lo scrittore si immerge in una
difficile realtà familiare borghese e all'apparenza "normale",
ma dominata da incomprensioni, senso d'impotenza, bugie, flebili
speranze e ovviamente dalla dipendenza.
La vicenda inizia a Roma, nel '78, sullo sfondo il rapimento di
Aldo Moro, e poi via via prosegue negli anni '80, con la società
che cambia, tra nuove sfide e nuovi valori, e la scoperta
dell'Aids: a raccontarla un padre che, affiancato dalla moglie
Lea, affronta, tra inciampi e coraggiose riprese, la
tossicodipendenza della figlia Ilaria.
La penna di Schiraldi si insinua nelle pieghe dei sentimenti e
dei pensieri di personaggi costruiti in modo convincente,
affinché possa giungere chiaro al lettore tutto il "non detto"
che rende opaca la comunicazione tra genitori esasperati e figli
"difficili". In questo cammino doloroso, l'autore si pone al
fianco dei genitori di Ilaria mentre cercano di capire cosa
abbia portato la giovane sulla via della droga, le sue
fragilità, il suo bisogno irrefrenabile di mentire e di punire
se stessa; ma di questi genitori (che vivono con dolore il
confronto inevitabile con l'altro figlio, ansioso di
intraprendere una brillante carriera dopo gli studi in America)
lo scrittore spiega anche le scelte drammatiche, i cambi di
rotta, l'incapacità di comprendere a fondo le esigenze della
figlia e di intervenire efficacemente. Nel libro trovano posto
anche le illusioni e i sogni di libertà di Ilaria condivisi con
Simone, ragazzo come lei fragile che abbraccia però la scrittura
come terapia per liberarsi dalla dipendenza e che poi scopre di
essere malato di Aids. Proprio quest'ultimo personaggio nasce
dall'incontro di Schiraldi con un ragazzo, avvenuto mentre
l'autore si stava documentando "sul campo" tra centri di
recupero per tossicodipendenti, esperti, genitori e giovani
coinvolti nel tunnel della droga. Nonostante la tematica, con la
vita prepotente che mai però si separa dal senso di morte
latente, il libro riesce a non cadere mai nell'eccessiva
drammaticità, restando sempre in equilibrio e dosando bene ogni
elemento, anche grazie a qualche espediente inatteso nella trama
che arricchisce la storia.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA