NINO MANNINO: CONVERSAZIONE SULLA SICILIA.
IL PARTITO COMUNISTA E IL NOVECENTO (ISTITUTO POLIGRAFICO EUROPEO, 168 PAGINE, 15 EURO) Quando, nel 1956, si iscrisse al Pci aveva appena 17 anni.
E quello fu l'inizio di un
lungo percorso nella sinistra che si concluse nel 2022. Nino
Mannino ha dunque vissuto nella terra di frontiera siciliana i
momenti storici più significativi che rievoca, con un occhio
critico rivolto soprattutto alla vita del partito, in un libro
postumo, "Conversazione sulla Sicilia", scritto con Matteo Di
Figlia e Dario Carnevale, edito dall'Istituto poligrafico
europeo.
Mannino era una figura genuina di militante e dirigente. La
sua è una rilettura molto schietta dell'esperienza politica
cominciata in una Sicilia stretta da un lato dalle lotte
contadine con l'occupazione delle terre incolte e dall'altro
dalle grandi migrazioni verso il Nord. Il Pci, e quello
siciliano in particolare, era attraversato da processi di
cambiamenti sospinti dall'arrivo di giovani, donne,
intellettuali. I gruppi dirigenti dovettero quindi fare i conti
con una nuova realtà e spesso vissero con disagio gli stimoli
del rinnovamento.
Anche Mannino offre una testimonianza diretta, e in qualche
punto scomoda, sulle resistenze che questi processi suscitarono.
La sua è una rivisitazione che viene da un punto frontale di
osservazione: è stato consigliere comunale insieme con Leonardo
Sciascia (indipendente) e Achille Occhetto, deputato nazionale
per dieci anni, sindaco di Carini alle porte di Palermo,
componente della segreteria regionale del partito guidata da Pio
La Torre.
Mannino si dichiara quindi "testimone diretto degli
avvenimenti politici, economici, culturali, giudiziari, morali
(...) che hanno segnato la storia della Sicilia e in grande
misura anche la storia d'Italia negli ultimi cinquant'anni del
Novecento e nel primo ventennio del Duemila". Proprio come
testimone di lungo corso Mannino, morto nel novembre 2022, offre
un'analisi lucida combinata con un'avvincente capacità di
affabulazione, ereditata dal nonno puparo.
Anche La Torre, tornato in Sicilia nel 1981 e ucciso nel
1982, dovette confrontarsi con un tiepido sostegno. Questo,
almeno, ricorda Mammino che riconosce a La Torre una grande
capacità di mobilitazione politica contro la mafia e contro
l'installazione dei missili Cruise a Comiso. Proprio contro i
missili venne raccolto un milione di firme. "Una cosa mai vista.
E senza che il partito - annota - centralmente muovesse un dito.
Anzi, la cosa era presa troppo tiepidamente e con qualche
'distinguo'. Tanto che nessun dirigente nazionale si intestò
quella lotta". La grande risposta popolare induce Mannino a
ritenere. che La Torre sia stato ucciso proprio per la battaglia
contro i missili e "non per la legge antimafia che porta il suo
nome, che giaceva ignorata da anni nei cassetti del Parlamento".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA