A terra, tra la polvere, il segnalino in pelle di una chiave di una camera del resort. La porta di vetro intatta della spa, fra travi di legno accatastate. Gli ultimi video girati dalle vittime, proiettati su ciò che resta delle pareti dell'albergo, scampoli di vita a confronto con la morte. Uno scheletro di blocchi di cemento a delineare quella che, fino al 18 gennaio 2017, era l'area occupata dall'hotel Rigopiano, sulle pendici del Gran Sasso, in Abruzzo. Poi su, lungo la ferita del monte Siella, il canalone attraverso il quale decine di migliaia di tonnellate di ghiaccio, neve, alberi si abbatterono a valle, spazzando via le vite di 29 persone. È qui, sulle tracce di questa 'moderna Pompei di montagna', che si muove Pablo Trincia nella docuserie Sky Original 'E poi il silenzio - Il disastro di Rigopiano' che, dopo il successo del podcast, arriva in tv dal 20 novembre: 5 episodi prodotti da Sky Italia e Sky Tg24 e realizzati in collaborazione con Chora Media, in esclusiva su Sky Tg24, Sky Documentaries e Sky Crime, in streaming su Now, in chiaro sul canale 50 del digitale terrestre e on demand.
"Affrontare Rigopiano è stata una chiamata: dopo il racconto del naufragio della Concordia tante persone hanno iniziato a scrivermi per saperne di più", spiega Trincia in un incontro al cinema teatro Massimo di Pescara, alla presenza di uno degli 11 superstiti, Giampaolo Matrone, che ha perso la moglie Valentina ed è rimasto intrappolato nell'inferno di neve per 62 ore, e di familiari delle vittime come Marco Foresta, figlio di Bianca Iudicone e Tobia Foresta, e Rossella Del Rosso, sorella di Roberto, il proprietario del resort. "Niente tv del dolore, né morbosità", sottolinea Trincia, piuttosto "una storia di esseri umani e di famiglie spezzate", in un luogo in cui "si sarebbe potuto trovare ognuno di noi". Un luogo che oggi "dovrebbe diventare un memoriale, visitabile, con le foto di chi non c'è più. Altrimenti ce ne dimenticheremo". A quasi otto anni dal disastro e a ridosso dell'udienza fissata per il 27 novembre in Cassazione, per discutere del ricorso sulla sentenza di secondo grado che ha portato a 22 assoluzioni e 8 condanne, lasciando l'amaro in bocca ai parenti delle vittime, la docuserie - ideata e scritta da Trincia con Debora Campanella e Paolo Negro, che è anche regista - si chiede se dietro al disastro ci siano state responsabilità non ancora chiarite. "Dopo otto anni dalla tragedia non sento che sia stata fatta giustizia, nella maniera più assoluta, e sono convinto che il 27 novembre in Cassazione non cambierà nulla: non credo che lo Stato possa condannare lo Stato", riflette con amarezza Foresta. "Non so cosa aspettarmi: se confermeranno ciò che è stato fatto finora, secondo me, non c'è stata giustizia", aggiunge Matrone. Rossella Del Rosso punta il dito contro le troppe responsabilità ignorate, "da parte dello Stato e delle istituzioni". E lo stesso Trincia tira in ballo "la Regione Abruzzo", citando quel "piano anti-valanga che mancava dal 1992". La speranza, dice, è che quel 18 gennaio 2017 "segni un anno zero per la protezione civile: in un periodo in cui andiamo sempre più verso l'emergenza climatica, come dimostrano l'Emilia Romagna o Valencia, c'è sempre più bisogno di persone qualificate e di prevenzione". Il racconto, ad alto impatto emotivo, è punteggiato dalle immagini dei soccorsi di Vigili del Fuoco, Soccorso Alpino, Guardia di Finanza e Guardia Costiera, ma anche dai video messi a disposizione dai familiari e dai superstiti, che documentano la vita in hotel fino a poche ora prima della fine. Attraversare il dolore, incontrare sopravvissuti e famiglie è stato "un bombardamento emotivo continuo", ammette Trincia, anche perché lo sforzo è stato "trasmettere lo stato d'animo delle persone coinvolte, far avvertire al pubblico il terrore, l'angoscia, il buio". A colpire l'autore, in particolare, la storia di Matrone che, appena estratto dalle macerie, chiede al padre come mai non sia al lavoro in pasticceria a Monterotondo. E il padre: "A me non interessa la pasticceria, interessi tu. "L'amore di un padre è una cosa più grande di qualsiasi storia", commenta. L'empatia ha avuto però un limite: "Non abbiamo raccontato le autopsie, la parte relativa alla medicina legale: avremmo varcato la soglia della morbosità". Nessun voyeurismo, ribadisce il vicedirettore di Sky Tg24, Omar Schillaci: "L'idea è stata quella di raccontare un fatto di cronaca con un passo giornalistico, attraverso il video e il podcast, nell'assoluto rispetto per il dolore di tutti. Non pensiamo di poter sollevare dal dolore, semmai di fare memoria".
E annuncia che, con il progetto Sky Up the Edit, per sviluppare le competenze digitali e un approccio critico alle news, arriverà in questa occasione anche nelle scuole. Rispetto al podcast, evidenzia il regista Paolo Negro, "le immagini restituiscono anche i momenti in cui a parlare è un silenzio, uno sguardo". Per rappresentare la valanga, "che nessuno ha saputo raccontarci, perché nessuno l'ha vista arrivare, abbiamo usato l'intelligenza artificiale, trasformando il racconto contaminato dal trauma in un'immagine in qualche modo onirica".
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