Nel confuso mondo di Taleb Al Abdulmohsen la strage del 20 dicembre non era il primo piano oscuro che aveva immaginato. Già undici anni fa, all'indomani dell'attentato islamista dell'aprile 2013 a Boston, aveva espresso la sua minaccia - diventata poi una profezia - di compiere "azioni di risonanza internazionale". L'aveva brandita contro l'ordine dei medici del Land del Meclemburgo-Pomerania e, qualche mese più tardi, fu sanzionato. Poi mille grane giudiziarie, dall'abuso di chiamate d'emergenza - per il quale era convocato in aula a Berlino alla vigilia della strage - alle denunce per insulti, minacce, sospetto di contrabbando.
A strage consumata, quello che emerge sempre di più come un odiatore seriale simpatizzante dell'AfD dovrà affrontare dal penitenziario la realtà di cinque capi d'imputazione per omicidio plurimo e molteplici accuse per tentato omicidio plurimo e lesioni gravissime. E, con tutta probabilità, una perizia psichiatrica. Proveniente da un Paese in cui l'Islam è l'unica religione consentita in pubblico, l'islamofobo dichiarato è descritto da esperti e autorità come "un profilo del tutto insolito, mai visto prima". Atipico anche nella sua decisione di imitare lo schema degli attentati terroristici di matrice islamica per esprimere la sua "insoddisfazione" nei confronti del sistema di accoglienza del suo Paese adottivo per i connazionali rifugiati. Negli interrogatori che hanno preceduto la decisione del giudice di Magdeburgo di porlo in custodia cautelare ha pronunciato frasi confuse, tirando ancora in ballo teorie della cospirazione riconducibili agli ambienti dell'estrema destra. Una sindrome di accerchiamento, nella versione della presidente del Consiglio centrale degli ex musulmani (Zde), Mina Ahadi, che andava avanti ormai da anni. E rintracciabile anche nei suoi post su X contro Angela Merkel rea di voler "islamizzare" la Germania.
Per l'associazione, Abdulmohsen era "uno psicopatico" e "aveva ripetutamente dichiarato di voler far pagare ai tedeschi il loro disinteresse verso il pericolo dell'islamismo". Ma il suo odio, viene rimarcato, "non era più rivolto soltanto alla sinistra", bensì "si estendeva anche alle autorità" nazionali. E quando il saudita - che a 32 anni era fuggito dal suo Paese voltando le spalle all'Islam e rendendosi un eretico agli occhi di molti - "ha capito" che i suoi radicali sentimenti anti-islamici "non attecchivano nel gruppo, ha iniziato a diffamare pubblicamente" anche gli attivisti per i diritti dei rifugiati. Tanto da portare un membro del Secular Refugee Aid a sporgere una denuncia rimasta però inascoltata. Dopo i primi esami medici e mentali disposti dalle autorità della Sassonia-Anhalt, le indagini potrebbero presto passare nelle mani della procura federale tedesca pronta a disporre un test psichiatrico sul 50enne. Al 45 di Christianstrasse a Bernburg, nella sua abitazione a 50 chilometri a sud di Magdeburgo, intanto gli investigatori non hanno trovato prove di premeditazione o di radicalizzazione islamica. Tutto il contrario: "Sembrava fare di tutto per distaccarsene".
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