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'Mani di clan etneo sulle aste giudiziarie...' delle 06.43) Ci sono anche il sindaco di Paternò, Antonino Naso, eletto con delle liste civiche nel giugno del 2020, e un ex consigliere comunale ed ex assessore, Pietro Cirino, e un assessore dell'attuale giunta, Salvatore Comis, tra gli indagati dell'operazione 'Athena' dei Carabinieri.
Il reato ipotizzato, in concorso con due presunti
esponenti del clan Morabito legato alla 'famiglia' Laudani di
Catania, Vincenzo Morabito e Natale Benvenga, è di scambio
elettorale politico-mafioso. Cirino è tra i quindici destinatari
di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il gip ha
disposto gli arresti domiciliari con l'uso del braccialetto
elettronico per un indagato e il divieto di esercitare la
professione per un anno nei confronti di un avvocato. Per il
legale è stata esclusa l'aggravante mafiosa.
E' quanto emerge dall'inchiesta Athena, con 56 indagati,
coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai
sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, che, grazie
alle indagini dei Carabinieri della compagnia di Paternò, oltre
a fare luce sulle dinamiche criminali e sugli elementi di
vertice del gruppo Morabito-Rapisarda operativo a Paternò e
riconducibile al clan catanese Laudani, ha fatto emergere anche
gli interessi dell'organizzazione nel controllo sistematico
delle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e
Siracusa. L'inchiesta tratta anche presunte infiltrazioni nel
voto delle amministrative scorse a Paternò con un presunto aiuto
del clan Morabito ai tre amministratore indagati.
Per gli ammnistratori la Procura aveva chiesto un
provvedimento cautelare che è stato rigettato dal gip Sebastiano
Di Giacomo Barbagallo che ritiene sia da escludere la
sussistenza dei necessari gravi indizi di reato riguardo alla
posizione del sindaco Naso. Secondo il gip l'assunzione di due
persone vinco alla cosca in un'azienda che si occupa di rifiuti
e il presunto il sostegno elettorale "non appaiono
prospettabili" e, citando un provvedimento della Cassazione,
ricorda che ai fini della configurabilità del delitto di scambio
elettorale politico-mafioso è necessaria "la prova che l'accordo
contempli l'attuazione, o la programmazione, di un'attività di
procacciamento di voti con metodo mafioso".
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