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Pace in Terra Santa, si rievoca invocazione Papa-Peres-Abu Mazen

Pace in Terra Santa, si rievoca invocazione Papa-Peres-Abu Mazen

Nel decennale, in Vaticano l'8/6 con cardinali e altri religiosi

CITTÀ DEL VATICANO, 31 maggio 2024, 15:29

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Fausto Gasparroni) Il prossimo 8 giugno ricorreranno i dieci anni dalla storica "Invocazione per la pace" in Terra Santa promossa da papa Francesco, che per l'occasione riunì nei Giardini Vaticani l'allora presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas). Un'iniziativa, a solo due settimane dal viaggio del Pontefice in Israele e Palestina (24-26 maggio 2014), che con gli occhi di oggi, nel pieno della tragica riesplosione del conflitto in Medio Oriente, può ben definirsi "profetica".
    Parteciparono anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e rappresentanti di cristiani, ebrei e musulmani della Terra Santa. E proprio nel decennale del prossimo sabato 8 giugno, il Papa ha deciso di commemorare, alle 9.30 nello stesso spazio dei Giardini dove fu piantato un albero di ulivo, quell'evento "di alto significato in favore della pace, in questo momento difficile e preoccupante per la guerra fra Israeliani e Palestinesi", scrive il cardinale decano Giovanni Battista Re nella circolare d'invito inviata oggi a tutti i cardinali residenti a Roma.
    Sulla composizione del parterre per la nuova invocazione di pace, oggi ancora più necessaria e stringente della precedente, non c'è al momento una lista definitiva, ma si può presumere la presenza anche di esponenti religiosi come pure di rappresentanti istituzionali, pur con le limitazioni per gli ebrei dovute al fatto che si tratta di un sabato.
    Allora l'evento nei Giardini, con l'invocazione comune di pace delle tre religioni monoteistiche e dei più alti rappresentanti dei due popoli in conflitto, avevano mostrato al mondo come fosse possibile aprire una nuova via, a partire da una rafforzata vicinanza delle rispettive fedi, basata sul rispetto e la fiducia, laddove la politica resta attanagliata dai reciproci veti, dalle annose ostilità e diffidenze.
    La politica per un giorno aveva lasciato il campo alle religioni: l'ebreo Peres - nel frattempo scomparso - e il musulmano Abu Mazen erano intervenuti da credenti. Ma certo la loro immagine al fianco del Papa, gli abbracci che si scambiarono tra loro e con il Pontefice, l'ulivo piantato insieme nei Giardini, la foto di gruppo al termine del colloquio finale, restano icone di una forza straordinaria. Nessuno si illudeva che all'indomani sarebbe "scoppiata la pace". Ma, come aveva auspicato papa Francesco, l'incontro poteva essere "l'inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide".
    I successivi dieci anni, e gli eventi più recenti, hanno purtroppo contraddetto tali speranze. Troppi i morti, lamentava già allora il Pontefice: "la loro memoria infonda in noi il coraggio della pace", perché, aveva aggiunto, "per fare la pace ci vuol coraggio, molto di più che per fare la guerra". Quindi "dire sì all'incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza".
    Nella sua preghiera, Francesco aveva ripetuto il grido "mai più la guerra", perché con essa "tutto è distrutto". La richiesta del Papa è stata anche di avere il coraggio di compiere "gesti concreti per costruire la pace": insomma di essere "ogni giorno artigiani della pace". Peres aveva definito il Pontefice "costruttore di ponti di fratellanza e di pace" e l'evento in Vaticano un "invito eccezionale" e una "commovente occasione". Abu Mazen non aveva mancato di rilevare che "il popolo della Palestina - musulmani, cristiani e samaritani - desidera ardentemente una pace giusta, una vita degna e la libertà", e pregato che il futuro dei palestinesi fosse "prospero e promettente, con libertà in uno stato sovrano e indipendente", chiedendo anche "sicurezza, salvezza e stabilità".
    Un seme comunque era stato gettato. E oggi il Papa, pur davanti a un conflitto che appare quanto mai inestricabile, invita a guardare ancora a quelle motivazioni per ritrovare una speranza di pace.
   

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