Ci sono le scene di morte, i
labirinti nei quali si è persa l'umanità, i volti di persone che
hanno dimenticato il sorriso. Ma c'è anche la luce portata in
mezzo a quegli orrori da padre Massimiliano Kolbe, il frate
francescano rinchiuso nel campo di concentramento di Auschwitz
che fu ucciso dopo avere offerto la propria vita in cambio di
quella di un prigioniero che era padre di famiglia. Sono i
disegni della mostra "Fotogrammi della memoria. Labirinti" che è
stata inaugurata nella basilica dei Santi Apostoli a Roma
nell'ambito degli eventi in vista del Giorno della Memoria.
L'esposizione, che sarà aperta fino al 22 febbraio, riproduce le
grafiche dell'artista polacco Marian Kolodziej che è stato anche
lui prigioniero in quel campo di concentramento. Racconti dunque
di vita vissuta trasformati in disegni per non dimenticare.
La mostra è organizzata dalla Fondazione Pge dell'omonimo
gruppo energetico polacco. "Per l'autore è stata una terapia,
mentre per noi - ha sottolineato Wojciech Dabrowski, presidente
del cda di Pge - è una occasione per conoscere da vicino
l'enormità delle sofferenze vissute dai prigionieri nei campi
tedeschi durante la seconda guerra mondiale".
Oggi come ieri si vive ancora un clima di guerra. Lo ha
ricordato l'ambasciatore polacco presso la Santa Sede, Adam
Kwiatkowski, secondo il quale la mostra invita a ribadire "un
fermo no" a quegli orrori compiuti ottanta anni fa ma anche "un
fermo no oggi all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia".
Padre Zdzislaw Kijas, docente universitario che è stato anche
preside della Pontificia Facoltà Teologica San
Bonaventura-Seraphicum, nel presentare la mostra ha sottolineato
che "in tutti questi quadri si cela una domanda: 'Dove era Dio?'
Sembra che ad Auschwitz non ci fosse posto per Dio, Ma Dio era
presente nella persona di padre Kolbe", ucciso in quel campo di
concentramento il 14 agosto del 1941 e proclamato santo nel 1982
da Papa Giovanni Paolo II.
L'artista autore delle opere, Marian Kolodziej, trascorse
quattro anni ad Auschwitz. Arrivò con il primo trasporto e gli
fu assegnato il numero 432. Tornò a rivivere nell'arte questo
doloroso passato nell'ambito di una terapia riabilitativa,
resasi necessaria dopo un ictus, e cominciò a disegnare con una
matita legata alla mano.
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