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L'Ucraina russofona si solleva e invoca Mosca

dell'inviato Claudio Accogli

"No al fascismo, no al nazismo": è lo slogan che risuona in tutto il sud dell'Ucraina filorusso, con le brigate popolari affiancate dai volontari che arrivano dalla Russia, mentre nella Crimea che si prepara alla secessione le forze speciali di Mosca hanno già preso il controllo dei centri nevralgici della penisola 'regalata' da Nikita Krusciov a Kiev nel 1954. A Kharkiv, nella parte sudorientale del Paese, i feriti si contano a decine dopo l'assalto al palazzo dell'amministrazione regionale da parte di circa 300 filorussi che hanno sfondato un cordone di sostenitori delle nuove autorità ucraine, a margine di una manifestazione pro-Mosca a cui hanno partecipato ventimila persone. Almeno in diecimila hanno sfilato invece a Donetsk, inneggiando a Mosca e all'annessione alla Russia.

A Cherson, la città portuale che si staglia alle porte della Crimea, centinaia di "anti-Maidan", come si amano definire i militanti ostili al nuovo potere insediatosi a Kiev, hanno manifestato nella centrale piazza della Libertà sventolando le bandiere russe, della Flotta del Mar Nero e quelle sovietiche, lanciando slogan contro i "nazisti", "i criminali", che "minano la stabilità del Paese". "Molti di noi pensano che l'Europa sia una grande cosa, ma a Bruxelles hanno fatto di tutto per fare pressione, per accelerare il processo di adesione. Ianukovich lo aveva detto, in queste condizioni l'ingresso in Ue sancirebbe il nostro tracollo economico", spiega Dmitri, appena rientrato in patria: "Lavoro come musicista sulle navi da crociera. Un mio amico americano mi ha detto: 'Ma sei pazzo, resta qui, non andare in Ucraina, è pericoloso'. Ma io sono qui, per la mia terra".

"Quello che è successo a Kiev è un complotto ordito all'estero, da chi ci vuole separare dalla nostra Madre Russia, da chi vuole svendere il nostro Paese alla Germania", grida intanto sul palco uno degli oratori. A qualche metro, dietro un massiccio corteo di polizia, un centinaio di 'pro-Kiev' celebra le vittime di Maidan e 'presidia' la sede dell'amministrazione regionale, temendo un assalto come quello di Kharkiv. Ai margini una sorta di 'servizio d'ordine' con i bastoni negli zaini, pronti a intervenire in caso di scontri. "Qui non ci sono milizie paramilitari, sono notizie false", afferma l'ufficiale di polizia preposto a garantire l'ordine e la sicurezza nella città: "Siamo qui per difendere i cittadini, non ci interessa la politica, non ci schieriamo con nessuno", assicura poi, anche se molti dei suoi agenti sembrano strizzare l'occhio ai dimostranti 'anti-Maidan'.

Tutta la regione è un tripudio di bandiere russe e coccarde che evocano l'intervento militare in Georgia del 2008. A 50 chilometri a sud di Cherson ci si imbatte con la 'frontiera' messa in piedi in Crimea, a poche decine di metri dal cartello di "Benvenuto" su sfondo giallo che troneggia sull'autostrada. File di camion in coda e auto civili attendono di passare i controlli, affidati ai 'volontari' cosacchi arrivati dalla Russia, e coordinati da alcuni membri delle forze speciali ucraine, rigorosamente a volto coperto. Decine di giovani miliziani cercano riparo dalla morsa del freddo gelido riscaldandosi con i fuochi improvvisati nei bidoni. I controlli sono serrati, monitorati da almeno una postazione armata con una mitragliatrice pesante. Il clima è surriscaldato, di estrema tensione. Basta una battuta di troppo, uno sguardo non gradito e gli stessi miliziani che fino a poco prima si mettevano in posa per le fotografie di rito cambiano umore. Ora sono aggressivi, muscolari: "Siete di Maidan, siete di Maidan!" gridano, l'accusa più grave da queste parti. E le porte della 'frontiera' si chiudono.

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