dell'inviata Alessandra Rotili
Sulle montagne russe del budello ghiacciato di Krasnaya Poliana non ha sentito gli anni, né il peso di essere sulla soglia della storia. Ha schiacciato un pisolino tra una manche e l'altra, e poi si è lanciato giù costruendo tra testa e corpo il capolavoro della sua carriera senza fine. Armin Zoeggeler il bronzo a Sochi, vent'anni dopo la medaglia dello stesso colore vinta a Lillehammer, forse non lo aveva mai immaginato: con gli anta già archiviati e una folla di inseguitori che di anni ne hanno la metà ripeteva che il podio sarebbe stato davvero un'impresa. Che puntualmente però ha centrato, e stavolta è di quelle che lasciano il segno, più profondo delle lame della sua inseparabile slitta.
Sei medaglie in altrettante edizioni dei Giochi, illuminate dalla doppietta d'oro tra Salt Lake e Torino: mai nessuno è riuscito a salire sul podio olimpico in gare individuali per sei volte di fila. Ha superato tutti, e nello slittino anche un'altra leggenda come Georg Hackl, rimasto fermo a cinque. "Finalmente" sorride. Quattro manche "pulite" dice l'azzurro di Foiana, dietro solo a Felix Loch, il tedesco 24enne che bissa l'oro di Vancouver, e a un altro 'vecchietto', Albert Demchenko che a 42 anni e in casa si prende un argento da star ("è un fenomeno" l'omaggio del Cannibale al siberiano dagli occhi color ghiaccio). La storia stavolta sono loro, più padri che figli: lo sa Armin, lo sa l'allenatore del gruppo, Kurt Brugger, la voce rotta dalla commozione. "E' nato campione" ripete. Lui, il Cannibale dello slittino, arrivato ai Giochi da portabandiera "pensavo di stancarmi alla cerimonia e invece sono stati bravi a riportarmi al villaggio in tempo per riposare"), dice semplicemente che ha "cercato sempre di fare il mio dovere".
"Non avrei mai pensato di arrivare così a 40 anni - racconta - questa è una delle mie più belle gare. Quattro manche quasi perfette ed eccomi qui". Nessun errore, il tracciato studiato e ripetuto "mille volte in testa, dove migliorare, dove non sbagliare", quasi un'ossessione diventato "il segreto" della sua longevità sportiva. "Stavolta sono senza parole - ammette - non pensavo di prendere la medaglia: o meglio, ci speravo, ma la realtà è sempre un'altra. Però ho capito che potevo farcela e ho attaccato. L'esperienza ha fatto il resto e poi confesso, ho dormito un po' tra una manche e l'altra. Mezzora, giusto per recuperare. Questa è una pista bellissima, tecnica, tipo montagne russe, si scende e si sale: ma se fai un errore sei finito. Ecco, io non ho sbagliato".
Il feeling con la slitta ("la seconda cosa che amo dopo mia moglie"), gli allenamenti, il cibo sano e il riposo: dietro a un campione che non ha eguali c'è tutto. Ammette di "diventare una bestia" quando nel suo lavoro di atleta non funziona come dice. Questi vent'anni fatti di ghiaccio e medaglie "sono volati" e ora spazio anche ai più giovani perché "la storia deve andare avanti". Di addio non parla: "Mi concedo un sigaro, avevo detto che se fossi andato sul podio me lo sarei fumato - sorride - Il futuro? Ho la gara a squadre e poi un po' di vacanza. Finisco la stagione e poi mi prendo un po' di tempo per pensare cosa farò in futuro". Torna nel suo piccolo mondo tra i monti dove vive e che lo ha conservato così. "Mi aiuta tanto, sto in un paese piccolo, lì sono Armin e non una star". Una leggenda sì, che ha scritto una pagina indelebile, qui tra i saliscendi del budello ghiacciato. Armin sempre in alto, oltre la soglia della storia.