Parla prete torturato: 'In pace con Bergoglio'
Arrestato in Argentina: 'Vicenda chiusa, Dio benedica Francesco'
18 marzo, 12:45ROMA - Afferma che la ''vicenda e' chiusa''; lui ormai si sente ''riconciliato con quegli eventi'' ed ha anche riabbracciato 'solennemente' tempo fa il cardinale Jorge Mario Bergoglio a cui augura ora la benedizione di Dio sul pontificato. E' padre Franz Jalics, uno dei due gesuiti arrestati e torturati per cinque mesi durante la dittatura militare argentina, con l'accusa di aver fiancheggiato i guerriglieri. Per quell'episodio e' stato di nuovo chiamato in causa papa Francesco, allora giovane responsabile dei gesuiti in Argentina, il quale, secondo le accuse del giornalista-scrittore Horacio Verbitskyr, non avrebbe protetto i due sacerdoti. ''Non posso prendere alcuna posizione riguardo al ruolo di Jorge Mario Bergoglio'', ha affermato Jalics, un gesuita di origine ungherese, che da anni vive ormai in Germania e che oggi ha esposto le sue considerazioni in un comunicato pubblicato sul sito tedesco della Compagnia di Gesu' 'Jesuiten.org'. ''Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda e' conclusa'', ha ribadito. L'altro religioso che era con lui, Orlando Yorio e' morto per cause naturali.
''Dopo la nostra liberazione - racconta Jalics - lasciai l'Argentina. Solo anni dopo ebbi la possibilita' di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente''. ''A papa Francesco - ha concluso l'anziano gesuita - auguro la ricca benedizione di Dio per il suo pontificato''. Nel comunicato Jalics ha pero' voluto ricostruire l'intera vicenda dell'arresto.
''Vivevo dal 1957 a Buenos Aires'', racconta il religioso e nel 1974, ''con il permesso dell'arcivescovo di Buenos Aires, Juan Carlos Aramburu, e dell'allora padre provinciale gesuita Jorge Mario Bergoglio mi trasferii con un confratello in una 'favela'''. Jalics ricorda gli eccidi della giunta militare, in cui persero la vita in pochi anni ''30 mila persone, guerriglieri della sinistra come anche civili innocenti''. ''Noi due nella favela non avevamo contatti ne' con la giunta ne' con la guerriglia. Per la mancanza di informazioni dirette e per false notizie fatte circolare apposta su di noi, la nostra posizione era stata fraintesa anche nella chiesa'', fa notare il gesuita. ''In quel periodo - prosegue - abbiamo perso i contatti con uno dei nostri collaboratori laici, che si era unito alla guerriglia''. Dopo il suo arresto e il suo interrogatorio da parte dei militari, anche i due gesuiti furono arrestati. ''Dopo un interrogatorio durato cinque giorni, l'ufficiale ci disse: 'Padri, voi non avete colpe e mi impegnero' per farvi tornare nei quartieri poveri'. Nonostante quell'impegno restammo incarcerati, per noi inspiegabilmente, per altri cinque mesi, bendati e con le mani legate''.