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Pm insiste: Stasi va condannato a 30 anni

17 dicembre, 13:59
Alberto Stasi
Alberto Stasi
Pm insiste: Stasi va condannato a 30 anni

dell'inviata Francesca Brunati

VIGEVANO (PAVIA), 10 dicembre - Condannare Alberto Stasi a 30 anni di carcere, perche' gli indizi che portano a lui sono''inequivocabili'' e non merita alcuna attenuante per le sevizie sul corpo di Chiara. E' la richiesta avanzata per la seconda volta dai Pm Rosa Muscio e Claudio Michelucci al Gup di Vigevano, Stefano Vitelli, davanti al quale si celebra il processo con rito abbreviato nei confronti del giovane imputato per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, massacrata a Garlasco il 13 agosto 2007. I due Pm, che si sono alternati nella requisitoria, hanno concluso, come avevano gia' fatto lo scorso 9 aprile (prima dello stop al processo con la richiesta del giudice di quattro perizie), sostenendo senza alcun dubbio la responsabilita' di Alberto.Fu lui, quel giorno, a uccidere Chiara tra le 12,46 e le 13,26, in quell'arco di 40 minuti intercorso tra due delle otto chiamate fatte dal giovane, o dal telefono di casa o dal proprio portatile, sul cellulare della ragazza.

Telefonate che risultano senza risposta. Secondo l'accusa, come ha detto il Pm Rosa Muscio, le perizie disposte dal Gup ''non hanno modificato il quadro accusatorio'',eccetto quella informatica, che bene o male ha portato la Procura a rideterminare l'ora della morte. Non solo perche' a suo avviso quando Chiara venne trovata senza vita non c'erano i segni del rigor mortis e le macchie di sangue sul pavimento erano fluide, ma anche in base alle indicazioni degli ingegneri Roberto Porta e Daniele Occhetti: Alberto, il giorno del delitto rimase davanti al pc dalle 9,35 alle 12,20 anche se, per i Pm,avrebbe lavorato su quattro pagine della tesi che non erano nemmeno impegnative. Solo dopo, ipotizzano gli inquirenti,avrebbe avuto il tempo di assassinare Chiara e fuggire. Per i due Pm c'era la volonta' di uccidere e la messinscena della scoperta del cadavere, compresa la telefonata al 118 e'''da ritenersi una prova'' contro Alberto. Cosi' come sono prove scientifiche il Dna (ritenuto sangue o materia cerebrale) di Chiara rintracciato sui pedali della bicicletta sequestrata all'ex studente bocconiano (che quindi avrebbe dovuto avere le scarpe sporche e non pulite) e le impronte del giovane,mischiate sempre al Dna di Chiara, rinvenute sull'erogatore del sapone, che si trovava nel bagno della villetta del delitto. Quanto alla presenza della bicicletta nera da donna, che duetestimoni hanno affermato di aver visto davanti a casa Poggi la mattina dell'omicidio, per i Pm non vi sono certezze, mentre ilmovente e' da ricondurre a un litigio tra i due fidanzati avvenuto la sera prima dell'assassinio tra mezzanotte e le due.

Questo darebbe anche una nuova giustificazione a tutte le chiamate fatte da Alberto a Chiara il 13 agosto, alle quali lei non ha risposto. Dopo la requisitoria, e' toccato all'avvocato Gian LuigiTizzoni, legale della famiglia Poggi. Nel suo intervento, oltre a criticare la perizia medico-legale e a sottolineare le contraddizioni, le lacune e le bugie dette da Alberto durante isuoi ripetuti interrogatori (''Ha corretto il tiro''), ha spiegato in aula che, a parer suo e dei suoi consulenti, Chiara e' stata uccisa tra le 9,12 e le 9,36 del 13 agosto di due anni fa, anche se, per tentare di essere in linea con la Procura, non esclude che la 'forbice' potrebbe essere piu' ampia e comprendere l'intera mattinata. L'avvocato ha inoltre evidenziato come tutte le chiamate fatte da Alberto sul cellulare di Chiara e senza risposta,sarebbero servite al giovane per crearsi un alibi. Tizzoni, che dovrebbe concludere il suo intervento in serata, probabilmente chiedera' al giudice di condannare Alberto alla pena che riterra' giusta e avanzera' di nuovo la richiesta di un risarcimento di 10 milioni di euro. Il processo riprendera' sabato prossimo, quando la parola passera' alla difesa. Sono state fissate, salvo imprevisti,altre udienze il 15 e il 17 dicembre, giorno in cui il Gup Stefano Vitelli entrera' in camera di consiglio per la sentenza.

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