Ruini: il mio Papa, leader, povero, da sempre santo
Cardinale racconta a giovani suo rapporto ventennale con beato
03 maggio, 12:40di Giovanna Chirri
ROMA - Il colloquio, a cena - ''non ero mai stato a cena da un Papa'' -, e il suo interesse ''per il divenire della societa' italiana''. La ''capacita' di leadership''. Il non pensare mai che ''la soluzione migliore fosse fare un passo indietro'': ''spesso l'ho visto optare per la via piu' rischiosa''. ''Gli riusciva bene ascoltare e stabilire un rapporto con i giovani'' e ''i giovani hanno risposto''. Il cardinale Camillo Ruini, vicario di Roma dal '91 al 2008 e ai vertici della Cei dall'86 al 2007, racconta al pubblico giovane del pub ''Giovanni Paolo II'', nel centro di Roma, il suo rapporto quasi ventennale con Karol Wojtyla. Un ritratto suscitato dalle domande alle quali il porporato ha risposto con spontaneita'.
''Da li' comincio' la mia conoscenza personale con lui. Era l'autunno '84, era la mia prima cena con un Papa: a Pio XII e Giovanni XXIII avevo stretto la mano, a Paolo VI neppure''. La prima impressione, poi confermata: ''era un uomo molto concreto, di fede pratica e di profonda preghiera, in quella fase dell'Italia lo interessava il momento ecclesiale, l'atteggiamento della Chiesa, l'azione, l'attivita' pastorale, voleva una spinta propulsiva, alla evangelizzazione dell'uomo come via della Chiesa e cercava di verificare se la preparazione al convegno andava in quella direzione o no''. Il Papa domanda e il giovane ausiliare di Reggio Emilia risponde, uno dei presenti suggerisce a Ruini un ''linguaggio piu' prudente'' nelle risposte, ma il Papa interviene con un ''lo lasci parlare''. Un uomo con ''molto senso del concreto'', ma anche ''uomo di Dio, di preghiera, convivevano in lui il mistico e l'uomo d'azione, in questo senso capace di leadership, non politico in senso stretto: era poco interessato alla politica, forse a quella in Polonia, ma per l'Italia era interessato al ''divenire della societa' italiana, in cui la politica aveva certo un peso''.
''Era sempre in rapporto con Dio, - continua il racconto del card. Ruini - convinto che Dio fosse l'attore decisivo della storia, sia della macro storia che delle vicende delle persone e delle famiglie. 'Non abbiate paura' lo disse perche' era un uomo che non aveva paura, non pensava mai che la soluzione migliore fosse fare un passo indietro, piuttosto un passo avanti, spesso l'ho visto optare per la via piu' rischiosa e i rischi li vedeva e li affrontava con grande serenita'''. ''Non parlava molto dei giovani, si', ogni tanto ha fatto qualche battuta, ma preferiva parlare a e con loro, gli riusciva bene ascoltare e stabilire un rapporto, credo lo aiutasse in questo la sua grande esperienza pastorale ma anche le doti naturali, la grande vivacita', la capacita' di comunicazione, anche gestuale: a Manila per la Gmg del 2005 la sua gestualita' colpi' moltissimo i due milioni di giovani, che si rapportarono a lui come a un grande amico, e i giovani hanno risposto, come dimostra la piazza commossa e partecipe del 2 aprile 2005'' (la veglia sotto la finestra del Papa morente, ndr). Il suo rapporto con i poveri e la poverta'? Chiedono al card. Ruini, che replica: ''viveva da povero, puo' sembrare strano perche' al Papa non manca niente, ma era estremamente modesto, per esempio nella biancheria, metteva le cose che gli regalavano, dava il senso del totale distacco, che impressionava, era rimasto il giovane di Cracovia, modesto e cresciuto con molti disagi e anche per questo - aggiunge il porporato - aveva rispetto e considerazione per chi lavora e per i poveri; era grato agli operai polacchi che alla cava della Solvay facevano parte del suo lavoro perche' lui avesse un po' di tempo per studiare, aveva percepito la solidarieta' tra lavoratori, e a questa era rimasto fedele''.
''E' stato anche l'avvocato del Sud povero del mondo, e' andato in questi paesi e si e' identificato con loro, ha dato voce a questi popoli che di voce nel mondo ne avevano poca e tuttora ne hanno poca''. ''L'ecumenismo gli ha dato non poche delusioni - ricorda il porporato emiliano - anche insuccessi e umiliazioni, non tanto personali quanto per la Chiesa e non di rado e' capitato che la mano tesa abbia ricevuto un rifiuto''. ''Quando si e' accorto che stava lavorando con un santo?''. ''Non ho mai pensato alla beatificazione con lui in vita - spiega Ruini - probabilmente perche' rifuggivo al pensiero della sua morte, mi irritavo quando parlavano del suo successore, perche' il successore presupponeva che lui morisse; ma la sostanza della santita', il suo rapporto con Dio, il fatto che vivesse in Dio costantemente l'ho percepito ben presto, gia' dal viaggio in elicottero a Piani di Pezza, nell'86, ero da un mese segretario della Cei''.
L'episodio e' curioso: sette su un elicottero, rumoroso e ristretto come tutti gli elicotteri, tutti parlano e il Papa prega. Il Papa della attenzione alle ''singole persone'', come Ruini lo ricorda negli estenuanti saluti, uno ad uno, ai circa 600 ammalati, ogni anno nella messa per i religiosi, o nelle visite agli ospedali, ''molto impegnative anche per coloro che lo accompagnavano'', o nei biglietti con i nomi delle persone per cui pregare sempre pronti sull'inginocchiatoio. ''Quando stava molto male - racconta il cardinale - l'ho visto poco'' comunque non ha mai vissuto la malattia come ''qualcosa che lo esentasse dai suoi doveri''. ''Secondo me la vocazione alla santita' l'ha sentita prima di quella al sacerdozio'' ipotizza Ruini, e cita il ''Magnificat'' scritto dal ragazzo Wojtyla per il suo ''Poema slavo'': ''rendesti angelica la mia giovinezza'': ''angelica - commenta - e' la castita', da ragazzo certamente avra' avuto tutte le attrazioni che vivono i ragazzi, pero' le viveva angelicamente''. Comunque ''la sua maggior rinuncia quando si e' fatto sacerdote e' stata quella alla dimensione artistico-poetica''. (giovanna.chirri@ansa.it)