Parla Irene Morfini, Indiana Jones all'italiana
A 33 anni ha scoperto una nuova tomba: 'ci servono sponsor'
16 marzo, 13:06di Giuseppe Maria Laudani
IL CAIRO - Prendere dalla sabbia un oggetto antico di 3.500 anni e raccontarne la storia è come farlo tornare in vita". L'egittologia è la grande passione di Irene Morfini, ricercatrice italiana all'Università di Leiden, in Olanda. Una 'febbre' nata da un viaggio che i suoi genitori intrapresero nel Paese del Nilo quando aveva cinque anni e che recentemente le ha dato grandi soddisfazioni dopo la scoperta della tomba di May, un funzionario dell'Antico Egitto della 18/a dinastia (risalente a circa 3.500 anni fa) rinvenuta a Luxor, grazie ad una missione archeologica italo-spagnola 'Canario-Toscana' durante la campagna di scavo novembre-dicembre 2013.
"Stringere la storia fra le mani non è cosa da tutti i giorni!", spiega Morfini, 33 anni, originaria di Lucca, che definisce il ritrovamento della tomba di May come uno dei momenti più elettrizzanti. "Studiando l'area ci eravamo accorte di alcuni 'spazi vuoti' nella collina dietro alla nostra tomba, la TT 109, ma mai ci saremmo aspettate di trovarne una nuova durante la prima campagna di scavo", continua la studiosa che ha codiretto la missione con la collega spagnola Mila Alvarez Sosa. Un successo enorme per le due giovani ricercatrici, che grazie alla tenacia che le contraddistingue e all'aiuto dell'ambasciata italiana in Egitto sono riuscite ad ottenere le concessioni ad aprire lo scavo dopo tante difficoltà, sfidando pregiudizi ed invidie.
"Entrare per un cunicolo e ritrovarsi in una tomba della dinastia 18 è qualcosa che leva il fiato! Siamo entrate carponi e, una volta che gli occhi si sono abituati all'oscurità, abbiamo visto scene affiorare sulle pareti con i colori che si potevano ancora vedere. I nostri occhi correvano su e giù per le colonne di geroglifici. Entrambe sapevamo che volevamo leggere una cosa: il nome. Poi il silenzio è stato rotto da un nostro urlo: MAY!". Momenti di gioia caratterizzano la sua ricerca, ma anche episodi di tristezza, quando durante la rivoluzione nel gennaio 2011 dovette lasciare il Paese provando "ansia per colleghi ed amici, preoccupazione per i siti archeologici, e incertezza del nostro futuro in quel Paese".
Molte missioni archeologiche operano in Egitto, di queste più di una ventina sono italiane e si estendono dal Delta, al Fayyum fino a Luxor. Una presenza "molto forte" di cui Morfini si sente "orgogliosa". E il lavoro non manca. La parte archeologica che "conosciamo dell'Egitto è molto modesta rispetto a quello che ancora è coperto dal deserto. Ci sono ancora tantissime cose da portare alla luce. Non tutte le tombe saranno intatte come quella di Tutankhamon, e magari non conterranno oro o preziosi, ma per un egittologo qualsiasi cosa può rivelarsi di massima importanza". Il problema sono le risorse. "Per la prossima stagione di scavo stiamo infatti cercando nuovi sponsor, dal momento che la scoperta di una nuova tomba porta tanta gioia e fama, ma anche maggior lavoro", prosegue la studiosa, convinta che misteri e scoperte ancora da rivelare non manchino: "C'è tanto da scoprire, conservare e pubblicare".
E un esempio è il Museo del Cairo di Piazza Tahrir, uno dei luoghi più "sacri" per un egittologo, che esplode di oggetti e che potrebbe "riservare delle sorprese nei suoi sotterranei".