Il testamento: non lascio nulla, bruciate miei appunti
03 maggio, 12:49CITTA' DEL VATICANO - "Non lascio dietro di me alcuna proprietà di cui sia necessario disporre. Quanto alle cose di uso quotidiano che mi servivano, chiedo di distribuirle come apparirà opportuno. Gli appunti personali siano bruciati. Chiedo che su questo vigili don Stanislao, che ringrazio per la collaborazione e l'aiuto così prolungato negli anni e così comprensivo". E ancora: "Nelle mani materne" di Maria "lascio tutto e Tutti coloro con i quali mi ha collegato la mia vita e la mia vocazione. In queste mani lascio soprattutto la Chiesa, e anche la mia Nazione e tutta l'umanità". Sono alcuni passi del testamento di Giovanni Paolo II.
La prima volta che vi mise mano, il 6 marzo 1979, Karol Wojtyla aveva 59 anni, era stato eletto da pochi mesi, aveva già cominciato i suoi impegnativi viaggi apostolici, che lo avrebbero portato in tutto il mondo, sciava, nuotava, girava per il mondo con passo sicuro e con altrettanta forza affrontava i problemi della Chiesa. Prese poi l'abitudine di rileggere e ampliare il documento ogni anno, durante gli esercizi spirituali. Alla sua morte, quando viene letto ai cardinali, il testamento si compone di una quindicina di pagine, di contenuto strettamente spirituale, scritte in polacco in momenti diversi. Nel documento viene citato il rabbino capo di Roma Elio Toaff, che aveva accolto Giovanni Paolo II nella storica visita alla sinagoga di Roma del 1986. Si accenna spesso al testamento di Paolo VI, definito "sublime testimonianza sulla morte".
Giovanni Paolo II riflette sul 1989 e la fine della guerra fredda. Ricorda la "profezia" del primate polacco Stefan Wyszynski il giorno del conclave che elesse Wojtyla: "compito del nuovo papa sarà introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio". "A misura che l' Anno Giubilare 2000 va avanti - scrive - di giorno in giorno si chiude dietro di noi il secolo ventesimo e si apre il secolo ventunesimo. Secondo i disegni della provvidenza mi è stato dato di vivere nel difficile secolo che se ne sta andando nel passato, e ora nell'anno in cui l'età della mia vita giunge agli anni ottanta ('octogesima adveniens') bisogna domandarsi se non sia il tempo di ripetere con il biblico Simeone 'Nunc dimittis'". Il Papa riafferma anche la propria convinzione che il 13 maggio 1981, nell'attentato di Alì Agca "durante l'udienza generale in piazza San Pietro la Divina Provvidenza - scrive - mi ha salvato in modo miracoloso dalla morte".