In una nota su Facebook, Amnesty International Tunisia ricorda che le espressioni che potrebbero essere considerate offensive non costituiscono reati penali ai sensi del diritto internazionale e non dovrebbero essere oggetto di procedimenti penali o dare luogo a pene detentive. Amnesty dunque "invita le autorità tunisine a porre fine alla campagna punitiva e alla repressione della libertà di espressione e di pubblicazione e mette in guardia contro manovre volte a mettere a tacere e limitare tutte le voci dissidenti a livello sociale e culturale". Evidenzia inoltre "la necessità di garantire il diritto al dissenso e all'uguaglianza per tutti, indipendentemente dall'identità di genere, dall'espressione o dalla scelta, e di concentrarsi sul rispetto degli standard internazionali sui diritti umani e sul diritto alla libertà di espressione". Sulla base dell'articolo 226 bis del codice penale tunisino, diversi Instagrammer e TikToker tunisini sono stati recentemente processati e condannati a pene detentive da uno a cinque anni. Alcuni sono incarcerati, altri sono ancora all'estero.
L'articolo 226 bis prevede che "chiunque viola pubblicamente il buon costume o la moralità pubblica con gesti o parole o intenzionalmente dà fastidio ad altri in qualche modo, è punito con sei mesi di reclusione e con la multa di mille dinari che viola il pudore.
Chiunque segnala pubblicamente la possibilità di commettere disordini mediante scritti, registrazioni, messaggi audio o visivi, elettronici o ottici, è punito con le stesse sanzioni previste dal comma precedente. Mentre l'articolo 231 dello stesso codice prevede: "Fuori dai casi previsti dalla normativa vigente, le donne che, con gesti o parole, si offrono ai passanti o esercitano la prostituzione, anche occasionale, sono punite con sei mesi di pena. a due anni di reclusione e alla multa da venti a 200 dinari. (ANSAmed).
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