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“La navata”, un thriller potente tra i chiaroscuri dell’esistenza

PressRelease

“La navata”, un thriller potente tra i chiaroscuri dell’esistenza

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Responsabilità editoriale di NEW LIFE BOOK

Daniela Segnana intreccia sacro e profano in una storia di colpa, redenzione e segreti mai sopiti

27 novembre 2024, 17:37

NEW LIFE BOOK

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il crepuscolo è il momento in cui il mondo sembra trattenere il respiro, sospeso tra la luce e il buio. È in questa fragile soglia prende forma una narrazione che trascina il lettore in un territorio di contrasti brutali e struggenti, dove si fronteggiano l’umano e il bestiale, specchiandosi fino a confondersi. È un’indagine che scava nelle pieghe più oscure dell’anima, tentando di svelarne i segreti più inconfessabili. La storia raccontata nel romanzo thriller "La navata", opera prima di Daniela Segnana per il Gruppo Albatros Il Filo, ci conduce in un mondo dove la sacralità è profanata, il sublime si mescola al mostruoso, e al lettore spetta il compito di orientarsi tra la luce delle rivelazioni e l’ombra delle colpe. Le linee temporali si intrecciano e si influenzano a vicenda, creando un’atmosfera tesa come le corde di un violino.
"La navata" si apre come un portale scolpito nel marmo, un ingresso che invita il lettore a superare la soglia del quotidiano per immergersi in un universo di contraddizioni irrisolte, di luci e di ombre. Segnana costruisce la sua opera come una cattedrale narrativa, con archi intrecciati di storie che si innalzano verso un cielo oscuro. Il lettore è così costretto a confrontarsi con altezze vertiginose e con i recessi più profondi del proprio sé. L’atmosfera che si crea è sospesa, quasi rituale: attraversare la navata diventa un viaggio nell’ignoto, un percorso che riecheggia sia le paure sia le speranze che si nascondono nelle profondità dell’animo umano.
La protagonista, Barbra, cerca di dare un senso a una vita apparentemente intrappolata nell’inerzia. Sotto questa superficie opaca, però, cova un desiderio mai espresso, una volontà di cambiamento che esplode quando il giornale per cui lavora le offre un’opportunità irrinunciabile. Il suo lavoro, in qualità di giornalista investigativa, consiste nella raccolta e l’analisi di vecchi articoli e documenti d’archivio, concentrandosi su crimini apparentemente risolti o dimenticati. Al centro del mistero c’è la chiesa di San Sebastiano, più volte teatro di brutali violenze e omicidi. I delitti sembravano legati tra loro, eppure la mancanza di un movente chiaro e l’apparente assenza di collegamenti personali tra le vittime avevano lasciato il caso irrisolto per decenni.
Barbra si ritrova a indagare su questa tragedia quasi per caso, esplorando i documenti dell’Istituto K-Live di Pittsburgh, dove è inviata per lavoro. Quella che comincia come una ricerca giornalistica, però, si trasforma rapidamente in qualcosa di personale. Nei vecchi fascicoli trova riferimenti criptici a un personaggio a lei vicino, scoprendo che quest’uomo aveva un legame con la chiesa e potrebbe sapere di più sull’orrore accaduto. Le sue indagini svelano un intreccio di segreti che mescolano fede, violenza e potere. La navata della chiesa di San Sebastiano, con il suo simbolismo sacro e profano, diventa un microcosmo in cui i personaggi si confrontano con le loro colpe e pulsioni. Barbra inizia così a comprendere che il passato non è mai del tutto sepolto e che la verità illumina solo ciò che si è pronti a vedere.
La struttura del romanzo alterna momenti di introspezione a scene cariche di tensione emotiva e drammatica. La narrazione è frammentata, ma mai disordinata; ogni capitolo è la tessera di un puzzle che, pur apparendo autonoma, trova il suo senso solo nel contesto più ampio dell’opera. Uno dei temi centrali del romanzo è la lotta tra istinto e ragione, una battaglia che si consuma nel cuore dei protagonisti e risuona nell’eco della narrazione. L’essere umano, ci suggerisce Segnana, è irrimediabilmente diviso tra la sua natura più selvaggia e le regole imposte dalla società. Questo conflitto è rappresentato in modo particolarmente crudo attraverso “la Bestia”, una voce disturbante che incarna il lato oscuro dell’umanità. 
La scrittura di Segnana è precisa, evocativa, capace di alternare momenti di lirismo a immagini brutali, intrecciando i piani temporali con una coerenza che rende il romanzo potente e incisivo. Ogni parola è scelta con cura, ogni frase sembra parte di un disegno più grande. L’uso sapiente delle descrizioni le rende vivide e sensoriali, ricche di dettagli che contribuiscono a creare un’atmosfera carica di tensione, che avvolge il lettore e lo trascina nel mondo del romanzo. Infine, la luce e l’ombra giocano un ruolo fondamentale. Nelle descrizioni di Segnana, la luce non è mai pura e rassicurante, così come l’ombra non è solo minaccia. Entrambe convivono, intrecciandosi nella navata, nelle vite dei personaggi, nei loro pensieri. È un continuo gioco di chiaroscuri che riflette la complessità dell’esistenza, dove nulla è completamente buono o cattivo, ma tutto è in costante equilibrio tra i due poli.
Non mancano i riferimenti ai grandi pensatori del passato: è ben presente l’eco di Pascal, con il suo eterno dilemma tra la miseria e la grandezza dell’uomo; si avvertono suggestioni dostoevskiane, nei momenti in cui il conflitto morale diventa insopportabilmente umano; e persino una lontana eco di Dante, nella capacità di trasformare il viaggio in un’esplorazione dell’anima. "La navata" porta con sé questa eredità e la offre al lettore con una voce nuova, che trova il suo respiro nella contemporaneità. L’opera pone infatti delle domande fondamentali: cosa significa essere umani? Qual è il confine tra l’istinto e la moralità? Quanto siamo realmente liberi nelle nostre scelte? Il simbolismo della chiesa di San Sebastiano diventa il luogo in cui queste domande trovano una forma visibile. È uno spazio di confronto, dove il sacro e il profano si mescolano, dove l’individuo è costretto a fare i conti con sé stesso e con la propria natura.
Daniela Segnana presenta la violenza come un’energia sotterranea, un respiro trattenuto che si insinua in ogni angolo della narrazione: è una forza primordiale, ineludibile. Non c’è compiacimento nella descrizione della violenza, ma una consapevolezza profonda: essa è una parte intrinseca della condizione umana, una pulsione che ci abita e ci definisce, tanto quanto il desiderio di elevarci sopra di essa. Non è mai fine a sé stessa, trovando invece senso nel suo ruolo di mezzo per esplorare temi più ampi: la colpa, la redenzione, il sacrificio. È il prezzo inevitabile per confrontarsi con la propria umanità, una realtà dalla quale sembra impossibile sfuggire. Non c’è catarsi, né liberazione; in fondo, la violenza appare come il linguaggio della vita che lotta contro sé stessa per trovare un senso.
"La navata" non si conclude con risposte nette o definitive: non è un trionfo, né una sconfitta. Si tratta di un momento di sospensione, un invito alla riflessione, in cui il reale si manifesta nella sua cruda schiettezza. Daniela Segnana sembra suggerire che non esiste una fine definitiva, presentando ogni storia, come ogni vita, come un intreccio di continui inizi e conclusioni provvisorie. Non ci offre una mappa dettagliata, ma qualcosa di più prezioso: il coraggio di smarrirci e la speranza di ritrovarci, ancora una volta, al confine tra il sacro e il profano, tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.

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