L'aumento delle pensioni minime era
stato deciso con la legge di Bilancio per il 2023 "in via
transitoria" per il 2023 e per il 2024 e si pone quindi il
problema di non ridurre gli importi di questi assegni dal 2025.
Sembra invece che sarà assicurata l'indicizzazione piena per
tutti gli assegni, a fronte di un'inflazione in forte calo
(l'acquisita a settembre per l'anno era all'1%) dopo che negli
ultimi due anni era stato deciso un taglio delle rivalutazioni
per gli assegni più alti. Per l'aumento delle pensioni minime
nel 2024 la spesa prevista nella legge di Bilancio è di 379
milioni di euro.
Dovrebbero essere riconfermate con le regole stringenti
stabilite per le uscite dal lavoro a partire da quest'anno, le
misure Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 (62 ani di età e
41 di contributi) con il ricalcolo contributivo.
Sempre sul fronte previdenziale si studia l'adozione di un
nuovo semestre di silenzio assenso per il conferimento del Tfr
alla previdenza integrativa. Ciò varrà non solo per i nuovi
assunti ma anche per coloro che sono già occupati che qualora
non avessero già conferito il Tfr maturando ai fondi e non
volessero farlo dovranno dirlo esplicitamente. In mancanza di
comunicazione il Tfr dovrebbe andare al fondo di previdenza
della categoria.
Si discute ancora anche della possibilità per i lavoratori
pubblici che hanno compiuto 65 anni e hanno 42 anni e 10 mesi
di contributi e che hanno quindi la possibilità di andare in
pensione anticipata (41 e 10 per le donne) di restare al
lavoro, su base volontaria, senza che l'amministrazione possa
mandare in pensione come avviene ora. In pratica si
uniformerebbe il sistema del pubblico a quello del privato per
cui il datore di lavoro può mandare in pensione solo all'età di
vecchiaia (67 anni) mentre è il lavoratore che decide di andarci
prima se ha maturato i requisiti per l'anticipata.
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