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di Marco Galdi
"Per la prima volta nella storia del dopoguerra il naufragio dell'Unione Europea appare realistico".
E' con queste parole che Martin Schulz apre il libro in cui fa l'analisi di un'Europa piombata in una imprevedibile crisi, finanziaria, sociale e soprattutto politica, di idee e prospettive di sviluppo. Quell' Europa che ha conquistato il Nobel per la pace per i quasi 70 anni senza guerre, ma ora sull'orlo della disintegrazione.
"Questo naufragio non è inevitabile, ma se ne parla sempre più spesso e in alcuni ha persino cessato di suscitare timore.
Eppure solo un paio di anni fa sarebbe stato inimmaginabile".
Osserva Schulz, che di fronte all'ondata euroscettica o eurocritica - aggettivi che labilmente separano i due schieramenti in campo nelle europee del 22-25 maggio: i primi che ne prospettano lo smantellamento, i secondi che la vogliono migliorare - fa una lucida analisi dei problemi di una Unione cresciuta troppo, troppo in fretta e soprattutto fondata su un'ideale utopico.
Schulz, 58 anni, socialdemocratico tedesco, presidente dell'Europarlamento negli ultimi due anni, candidato del Pse alla presidenza della Commissione europea, traccia uno scenario realistico quanto inquietante: crollo del mercato interno europeo, disoccupazione alle stelle, gli Stati europei inevitabilmente sottoposti al potere degli Stati Uniti e dei paesi in crescita come la Cina, mentre all' interno monta la minaccia del populismo di destra. In modo provocatorio e senza reticenze, Martin Schulz, uno dei più convinti europeisti, elenca tutto ciò che nell'Europa di oggi non va, puntando l'indice soprattutto sul deficit democratico, sulla mentalità degli Stati membri ancora legata all'ambito nazionale, e sulla mancanza di una politica estera unitaria.
Il tedesco, divenuto popolare in Italia per la polemica con Berlusconi che nel 2003 - fresco presidente di turno della Ue - gli dette del 'kapò' rispondendo alle critiche che il socialdemocratico gli aveva rivolto nell'audizione davanti alla plenaria del Parlamento europeo, si scaglia contro le illusioni degli euroscettici e argomenta con forza in favore di una vera democrazia europea che sappia mantenere un ruolo di rilievo nello scacchiere globale e allo stesso tempo preservare quel modello sociale che tanto è ammirato nel resto del mondo.
"Da giovane sognano gli Stati Uniti d'Europa", confessa Schulz nel libro, aggiungendo che però "oggi mi appare difficile che noi europei smetteremo un giorno di sentirci tedeschi, olandesi, francesi o polacchi", ma "il senso di appartenenza non è necessariamente un male". "Le nostre specificità nazionali e le nostre diverse esperienze storiche - scrive - sono una ricchezza cui sarebbe sciocco rinunciare". Però, di fronte alle "cinque minacce principali per l'Europa: il terrorismo, la diffusione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, il fallimento e la divisione degli Stati e la criminalità organizzata", l'Europa non ha che una risposta: restare unita per mantenere un ruolo di player globale nel nuovo equilibrio geopolitico mondiale. "Dei circa 12,5 miliardi di persone che popoleranno questo pianeta nel 2060, 10,5 proverranno da Africa e Asia", "avranno tutto il diritto di perseguire i loro interessi" e "percepiranno l'Europa come un concorrente". "Per questo - la frase chiave - mi sento di rispondere in modo prescrittivo alla domanda se abbiamo o possiamo avere interessi comuni europei. Non abbiamo alternativa: dobbiamo perseguire i nostri interessi comuni in quanto europei". (ANSA).
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