Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, per la prima volta in scena a Venezia nel 1640, si apre con la voce dell'Umana fragilità (''Mortal cosa son io, fattura umana./ Tutto mi turba, un soffio sol m'abbatte.
/ Il tempo che mi crea, quel mi combatte'') che Pier Luigi Pizzi nella sua magistrale regia di questo dittico ora in scena a Ravenna, ha voluto completamente nuda, lasciando il controtenore Danilo Pastore senza abiti in scena ad esaltare la caducità delle membra pallide. Ed è questo il segno distintivo del doppio appuntamento, oltre a Il ritorno di Ulisse in patria, con Didone ed Enea nel giorno di Santa Cecilia di Henry Purcell del 1689, a comporre la trilogia d'autunno del Ravenna festival al Dante Alighieri di Ravenna dal 15 al 19 novembre, che si arricchiva del recital del controtenore polacco Jakub Józef Orliński, affiancato dall'ensemble Il Pomo d'Oro, con Beyond.
Storia di eroi quindi costretti a migrare e delle loro donne come Penelope e Didone, altrettanto segnate dalla sorte, sullo sfondo della guerra di Troia in cui nessuno però appare vincitore e pare appartenere a un passato che non ha lasciato nulla ai suoi protagonisti se non la nostalgia dei sentimenti.
La Fragilità umana dunque come indice di complessità e ricchezza, che nelle due splendide opere barocche - che qui si fondono e completano - è esaltata anche dalla presenza delle figure di controtenore, in una riscoperta di ruoli caduti un po' nell'oblio che ora l'interesse per la ricchezza delle sfumature dell'essere umano e della fluidità di genere sta riportando felicemente alla luce insieme ad opere, come queste, che gli assegnano ruoli di primo piano.
La fragilità dunque come essenza stessa dell'umanità che la magistrale regia di Pizzi mette sul piatto di una scenografia dal bianco accecante, e dalle porte importanti che danno il senso quasi dell'imponenza dell'altrove rispetto al qui e ora. I colori sullo sfondo, i tessuti fluidi, la spettacolare aderenza del cast ai ruoli, ne ha fatto uno spettacolo decisamente degno di nota. Così anche i vasi comunicanti tra le due opere, che vanno oltre il senso proprio del testo, con un efficace Mauro Borgioni nel doppio ruolo di Ulisse ed Enea, Delphine Galou prima una monacale Penelope poi una maga sensuale, Arianna Vendittelli prima celebrale Minerva poi passionale Didone. Il tutto con grande evidenza scenica, a partire dalla presenza visiva, oltrechè dalla sapienza musicale, di Accademia Bizantina e Ottavio Dantone, che oltre a dirigere è al clavicembalo. Così come appare molto felice per l'opera di Purcell incastonare Dido and Aeneas dentro l'Ode a Santa Cecilia patrona della musica, dove personaggi dentro e fuori la scena e i ragazzi di una scuola musicale sono un tutt'uno in un effetto gioioso e travolgente.
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